Nei confronti della vita possiamo rimanere passivi, soprattutto nei momenti di crisi, lasciando che tutto ci scorra addosso come se niente fosse. Eppure, arriva il tempo di darsi un bello scrollone, per tornare a vivere, non a vivacchiare, come amava dire Pier Giorgio Frassati. In effetti possiamo decidere, insieme, di riconoscere in ogni epoca, anche in questa, un’occasione favorevole per imparare, cambiare, rinnovarci e ricominciare in modo inedito, senza paura.
Mi fa sempre brillare gli occhi il fatto che il Vangelo sia il racconto ininterrotto di come l’incontro con Gesù riabiliti chiunque a credere nella vita, a uscire dalla pura sopravvivenza, per riprendere in mano la propria vita, spesso ferita, malata, frammentata, tornando a guardare il mondo con fiducia!
La fede non protegge, non mette al riparo, ma espone, suscita coraggio; non risolve magicamente i problemi, né tantomeno la pandemia, ma rimette in movimento mani, testa e cuore perché non smettiamo di essere creativi, fino a trasformare anche i passi più difficili in un trampolino di lancio per una nuova nascita. Certo, si “partorisce” sempre con dolore, ma la gioia di ciò che viene alla luce è così grande da far dimenticare la sofferenza; e la promessa è così appassionante che tutta la fatica, il buio e il sudore che abbiamo investito per arrivarci risultano, alla fine, ben riposti.
Credo che il dramma della pandemia possa essere inteso alla maniera di un grande “parto sociale”, in cui tutto lo sforzo deve essere impiegato non solo per non soccombere, ma per attraversare tutto questo con una coraggiosa visione per il futuro, senza cedere alla tentazione malinconica del “come era bello prima!”. La nostra vita associativa, e non solo, ha ridotto le attività e le agende, ci si vede in presenza molto poco e tutto è stato rimesso in forte discussione. Ma è proprio adesso, non dopo, che possiamo cogliere l’occasione per rinnovarci e ricominciare in un altro modo. Come? Ridando massima priorità ai rapporti personali e alla reciproca concreta prossimità. Sarebbe uno sbaglio che non possiamo permetterci quello di identificare la vita associativa con l’organizzazione di eventi: si tratta invece di “spostare la tenda” verso qualcos’altro, perché ora è il tempo di curare le relazioni fin dentro i più piccoli dettagli, anche e soprattutto con chi prima non avremmo avuto la possibilità, o l’attenzione, di incontrare.
Essere tutti “sulla stessa barca” ad affrontare questa triste situazione sta insegnando alla Chiesa e all’Azione Cattolica la preziosità di vivere la fede semplicemente dove tutti viviamo, nella diaspora della vita quotidiana. Questo ci fa bene, perché ci spoglia di tanti ruoli e apparenti certezze che alla fine non ci rendono né sciolti, né liberi, e ci fa allenare di nuovo gli occhi a scoprire il Vangelo all’opera dove meno ce lo saremmo aspettati.
Sembra poco? Non è così, perché si apre davanti a noi un’immensa prateria, fatta di solitudini da guarire, di ferite da accompagnare, di legami da costruire, di fallimenti da ascoltare e superare insieme. É come l’orizzonte marino che si allarga all’improvviso di fronte agli occhi e chiede di salpare nuovamente dal porto: saremo più fragili, più acciaccati, con ferite o lutti da rielaborare, certamente più consapevoli dei nostri limiti, ma proprio per questo siamo forse più pronti, se lo desideriamo, ad attraversare quel mare meglio di prima, in modo più umano, evangelico, creativo.
Ripartiamo, dunque, dai legami e dalla prossimità ospitale con chiunque! Abbiamo un sacco di tempo in più per inventarci, a riguardo, una marea di cose nuove, consapevoli che ora Dio ci aspetta lì, in questo preciso lavoro di vicinanza quotidiana. Non altrove!
Buon cammino e un abbraccio (seppure da lontano) a tutti.
di Don Gianluca Zurra
Assistente Nazionale del Settore Giovani di Azione Cattolica