Ricorderete, sicuramente, le “porte chiuse del luogo dove si trovavano i discepoli” che è la condizione di chi ha così tanto sofferto e che non riesce più a venir fuori dai propri cenacoli. Dopo le nostre esperienze negative, tutti abbiamo paura di amare di nuovo, di rischiare di nuovo e soprattutto di poterci credere di nuovo. Ma il Risorto entra nonostante la paura, il Risorto irrompe nella vita dei propri discepoli nonostante i loro dubbi.
Nulla da fare! Per i discepoli la paura è sempre più grande, nonostante la stessa esperienza del Risorto, infatti, non riescono a venir fuori dal loro cenacolo; serve qualcos’altro, serve la Pentecoste.
Nella nostra vita non basta entrare in relazione con il Risorto, non basta entrare nella gioia della Pasqua, ma soltanto l’esperienza dello Spirito fa sì che la Pasqua diventi vita vissuta. Se facciamo due conti, anche noi ci troviamo nella stessa condizione dei discepoli il giorno dopo la Pasqua. Quante volte partecipiamo all’Eucaristia e siamo sempre le stesse persone; preghiamo e continuiamo a peccare; leggiamo il Vangelo e non riusciamo a cambiare i nostri ragionamenti. Ecco! Anche noi siamo nella stessa condizione dei discepoli: tutte quelle volte che ci accostiamo all’Eucaristia tocchiamo, come i discepoli, Gesù morto e risorto ma rimane in tutti la necessità del dono dello Spirito Santo.
Senza lo Spirito, tutto quello che viviamo può rimanere chiuso nei nostri riti, nelle belle e buone parole. Possiamo vivere e poi raccontare la più bella esperienza con il Risorto ma se rimane solo esperienza, servirà solo come racconto. Se non ci facciamo raggiungere da un’esperienza vera e reale dello Spirito che ci rende liberi, non ci trasformiamo in testimoni. L’unica possibilità affinché anche noi diventiamo un “effetto collaterale” della Pasqua è di mostrare con la nostra vita quanto sia vero quello che Egli ci ha annunciato.
Con questo non ci viene chiesto di essere convincenti nelle parole ma semplicemente di diventare noi stessi quel vangelo vivente.
Fin qui tutto chiaro? Non sapendo la vostra risposta, continuo!
Quando mi è stato chiesto di scrivere questo articolo, ho da subito pensato cosa potervi dire. Beh, se state leggendo, qualcosa da dirvi c’è!
Per noi la liturgia è il luogo in cui compiere il cammino della nostra fede e di fatto lo compiamo ogni anno (in maniera ciclica) facendo un passo dopo l’altro, ed è proprio in questo andare avanti che impariamo anche a saperci muovere dentro i sentieri di Dio.
Dio interviene nella nostra storia – proprio quella che stiamo vivendo – non dandoci qualcosa di vecchio ma creando una cosa nuova. Quando noi incorriamo nella Pentecoste, ci imbattiamo in qualcosa di nuovo e pensato su misura per il nostro oggi!
La Pentecoste è una creazione che si rinnova, che è nuova sempre! Questo avviene perché la storia dell’umanità, la storia di tutti noi, non è una storia che va avanti e indietro, ma che va sempre e solo avanti.
Noi stiamo tuttora vivendo una “Pentecoste in crisi”: siamo ancora in piena pandemia, probabilmente con qualche speranza in più (il vaccino) ma pur sempre in pandemia. Tuttavia, il dono dello Spirito è proprio “un vento che si abbatte impetuoso”, così come riportato in Atti, che ci dà la speranza: sappiamo bene che il vento quando entra riempie tutto, non lascia spazi, ed è proprio così che accade in noi se lo vogliamo, dobbiamo lasciar riempire tutta la nostra vita e lasciarci cambiare.
Quello stesso Spirito che viene ad abitare in noi, che riempie la nostra vita, che fa nuove tutte le cose, è capace di darci un futuro diverso. Con la Pentecoste e con il dono dello Spirito che distrugge i confini, abbiamo il modo di costruire una realtà diversa. Per cosa vogliamo questo dono se non stravolge la nostra vita e la nostra storia? Abbiamo bisogno di rileggere con calma quanto vissuto e quanto stiamo continuando a vivere. Dobbiamo avere la capacità di non rimpiangere ma di guardare in avanti. Allora non sarà stato inutile festeggiare la Pentecoste, non sarà stata inutile questa storia, in quella occasione i sacrifici ci avranno spinto ad andare avanti nella giusta direzione.
Se siete arrivati a questa parte dell’articolo, starete pensando “belle parole, ma nella realtà? Nel mio oggi?”.
È sicuramente vero che la realtà è superiore alle nostre idee, che i nostri pensieri sono una piccola parte rispetto al quotidiano che viviamo, ma certamente se è lo Spirito a spingerci, nulla può rimanere come prima.
Tutti noi, giovani e meno giovani, ogni mattina quando ci svegliamo dobbiamo correre, non sentendoci mai all’altezza delle aspettative del mondo. Questo accade perché ci siamo dimenticati che chi ci chiama ad essere all’altezza ci ha già donato quest’altezza: per Lui andiamo bene così come siamo.
Per rendere tutto molto più chiaro, vi pongo davanti l’esempio di Rosario Livatino, quest’uomo che sta passando alla storia come “l’uomo beato senza alcun miracolo”, ma Livatino “ha saputo vivere la sua vita con la semplicità dell’uomo qualunque, e nel vangelo molti uomini qualunque sono uomini straordinari! Il Signore non ci vuole eroi, ma ci vuole grandi nella semplicità. Livatino diventa grande perché è il piccolo del vangelo, non ha fatto niente di straordinario” (Card. Montenegro).
Nulla di straordinario per Rosario, questo è il vero miracolo: un uomo ordinario ha riempito di Dio il luogo e le persone che incontrava.
È lo Spirito Santo, il dono ricevuto nella Pentecoste, che può renderci liberi e testimoni nel nostro quotidiano, così come ha fatto Rosario. Così facendo vivremo questa festa consapevoli che la Pentecoste non è l’evangelizzazione delle parole, non è spiegare Dio agli altri, ma bensì mostrarlo, farlo vedere!
Si, questa è Pentecoste! Adesso tocca a noi vivere il nostro oggi con uno sguardo nuovo che si innesta dentro la storia che noi stiamo vivendo. Perché Dio è capace di fare nuove tutte le cose, è capace di far nuova tutta la nostra vita.
di Giuseppe Vecchio