Il Municipio a Licata, chiamato Palazzo di Città, termine che rimanda al periodo delle città demaniali, si trova nel centro cittadino. Piazza Progresso è l’area in cui sorge il maestoso palazzo del Comune.
Fino alla fine del XIX sec. il Municipio aveva sede in corso Vittorio Emanuele, probabilmente nei locali dove oggi c’è il teatro. Agli inizi del Novecento, a causa dell’incremento demografico che comportava maggiori servizi alla cittadinanza, si cercò una nuova sede per il Municipio. Fu individuato il luogo dove un tempo era situata la Chiesa della SS. Trinità, abbandonata ed in rovina. Questo sito fu scelto per rinsaldare la vecchia città medioevale che si estendeva lungo corso Vittorio Emanuele con la nuova e moderna realtà urbanistica che si stava affacciando nei corsi Roma ed Umberto.
La progettazione fu affidata nel 1904 all’arch. palermitano Ernesto Basile, uno dei massimi esponenti del liberty italiano, che concepì l’edificio con l’elevazione di una torre campanaria ad angolo tra i due prospetti.
Ed infatti la torre campanaria è la parte più significativa ed originaria del Palazzo di Città, inizialmente pensata per l’antica chiesa. Sulla sommità della torre, entro una rigida gabbia di ferro battuto, sono collocate le campane che, con i loro rintocchi, scandiscono la vita dei licatesi.
Il prospetto, completato negli anni Trenta dello scorso secolo, è impostato su due ordini. La parte inferiore si presenta bugnata con l’apertura di porte e finestre arcuate simili ai palazzi rinascimentali. La parte superiore, invece, presenta superficie piana, divisa da paraste e con finestre che hanno timpani fioriti, tipici dello stile liberty.
Sopra il portone d’ingresso si eleva il balcone centrale artisticamente lavorato e con balaustra marmorea.
L’interno si sviluppa attorno ad un piccolo atrio a cielo aperto, mentre un’elegante scala marmorea permette l’accesso al piano superiore. Nel corridoio sono murati due medaglioni, provenienti dalla Porta Grande della città, raffiguranti Antifemo da Rodi ed Entimo da Creta, mitici fondatori dell’antica Gela. Sul soffitto dell’aula consiliare è raffigurata nella sua imponenza l’aquila, stemma della città, mentre nelle pareti sono collocate due opere: un trittico su tavola di scuola antonelliana della prima metà del XV sec., proveniente dal convento del Carmine, raffigurante “La Madonna col Bambino ed i SS. Caterina d’Alessandria, Giovanni Battista, Alberto e Marta” e una tela del licatese Antonino Licata (1823-1891) dove è dipinto un episodio dei Vespri siciliani del 1282.
Nella stanza del Sindaco sono custoditi il Gonfalone fregiato con lo stemma della città e due mazze seicentesche d’argento che nel passato rappresentavano il Senato cittadino e che tuttora vengono usate per le occasioni particolari, soprattutto per la festa del Santo Patrono. In altre stanze sono ospitate due tele, la prima attribuita al pittore licatese Giovanni Portaluni del 1630 raffigura “La SS. Trinità e santi”, la seconda di Fra’ Felice da Sambuca della seconda metà del XVIII sec. “La Madonna col Bambino e santi francescani”.
Il Municipio è stato al centro dello sbarco anglo-americano a Licata del 10 luglio 1943, quando divenne sede del governo per gli affari civili presieduto dal maggiore statunitense Frank Toscani. Egli si dimostrò capace di ascoltare le richieste dei licatesi, frustrati dalla guerra, e di sopperirne i loro bisogni. È doveroso ricordarlo per il suo generoso atto alla città, cioè quello di aver donato, dietro richiesta dei licatesi, una campana per la torre civica, poiché durante il fascismo le vecchie campane erano state rimosse. I licatesi attribuivano un forte valore simbolico alle campane, in quanto con i loro rintocchi animavano la vita degli abitanti. Questo gesto, alquanto particolare e curioso, ispirò il giornalista americano John Hersey a scrivere un romanzo dal titolo “Una campana per Adano” che nel 1945 vinse il prestigioso premio statunitense Pulitzer.
di Pierangelo Timoneri