La storia di Amanda Gorman, giovane poetessa cattolica e attivista afroamericana di 22 anni, è una storia di resilienza, determinazione, riscatto, speranza e tanta passione, tipica proprio di coloro che nella vita hanno un sogno e che, nonostante tutte le difficoltà, scelgono di viverlo.
Ciò che colpisce di questa ragazza, più o meno sconosciuta, alla ribalta internazionale fino al 20 gennaio scorso, giorno del giuramento del 46° Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden, é la grinta con la quale ha interpretato il suo componimento e con la quale ha incantato milioni di americani che seguivano la cerimonia di insediamento, ma ancor di più è soprattutto la sua giovane vita ad attirare l’attenzione e diventare spunto di riflessione.
Amanda è una ragazza decisa e caparbia che nonostante i suoi limiti – fin da piccola ha convissuto con un disturbo dell’elaborazione uditiva e con un problema di articolazione del discorso che le rendono difficile pronunciare determinate parole e suoni – è riuscita ad andare oltre i propri limiti collezionando una laurea in Sociologia nel prestigioso ateneo di Harvard e una serie di riconoscimenti in campo letterario che l’hanno portata, grazie all’interessamento di Jill Biden, ad essere la più giovane poetessa ad aver preso parte alla cerimonia di insediamento di un presidente americano.
L’attivismo e soprattutto il suo impegno contro ogni forma di ingiustizia sociale, contro ogni forma di razzismo e la tutela dei diritti della donna, come anche l’aver fondato nel 2016 l’organizzazione no profit, One Pen One Page, fanno di questa ragazza un segno di speranza, non solo per un’America ancora traumatizzata dallo tsunami Trump, ma per tutto il mondo.
Amanda Gorman infatti, si contrappone a una generazione di giovani ripiegata su se stessa, affascinata e vittima di un consumismo sfrenato e soprattutto priva di ideali. Una generazione incapace di sognare, di coltivare e custodire dei sogni, di lottare per essi, proiettata, e per certi aspetti ossessionata, da un concetto di felicità effimera ed evanescente che, oltre a disilludere, genera sempre più stili di vita egoistici, caratterizzati da un narcisismo e un edonismo che diventano sempre più indifferenza verso l’altro, soprattutto verso gli ultimi.
Ecco perché la figura di Amanda, apparentemente esile, avvolta nel suo ormai famoso cappotto giallo, è un segno di speranza. Una speranza che affascina, contagia, che risuona nei suoi libri (ormai a ruba) e nelle parole pronunciate a Capitol Hill; parole che scuotono e richiamano ad un nuovo modo di essere cittadini consapevoli che il presente è l’opportunità per ridisegnare e migliorare il mondo in cui viviamo, per renderlo più bello e giusto per chi verrà dopo di noi.
” Quando arriva il giorno, ci chiediamo dove possiamo trovare una luce in quest’ombra senza fine?
La perdita che portiamo sulle spalle è un mare che dobbiamo guadare. Noi abbiamo sfidato la pancia della bestia.
Noi abbiamo imparato che la quiete non è sempre pace
e le norme e le nozioni di quel che «semplicemente» è non sono sempre giustizia.
Eppure, l’alba è nostra, prima ancora che ci sia dato accorgersene. In qualche modo, ce l’abbiamo fatta.
In qualche modo, abbiamo resistito e siamo stati testimoni di come questa nazione non sia rotta,
ma, semplicemente, incompiuta.
Noi, gli eredi di un Paese e di un’epoca in cui una magra ragazza afroamericana, discendente dagli schiavi e cresciuta da una madre single, può sognare di diventare presidente, per sorprendersi poi a recitare all’insediamento di un altro.
Certo, siamo lontani dall’essere raffinati, puri,
ma ciò non significa che il nostro impegno sia teso a formare un’unione perfetta.
Noi ci stiamo sforzando di plasmare un’unione che abbia uno scopo.
Ci stiamo sforzando di dar vita ad un Paese che sia devoto ad ogni cultura, colore, carattere e condizione sociale.
E così alziamo il nostro sguardo non per cercare quel che ci divide, ma per catturare quel che abbiamo davanti.
Colmiamo il divario, perché sappiamo che, per poter mettere il nostro futuro al primo posto, dobbiamo prima mettere da parte le nostre differenze.
Abbandoniamo le braccia ai fianchi così da poterci sfiorare l’uno con l’altro. Non cerchiamo di ferire il prossimo, ma cerchiamo un’armonia che sia per tutti.
Lasciamo che il mondo, se non altri, ci dica che è vero:
Che anche nel lutto, possiamo crescere.
Che nel dolore, possiamo trovare speranza.
Che nella stanchezza, avremo la consapevolezza di averci provato.
Che saremo legati per l’eternità, l’uno all’altro, vittoriosi.
Non perché ci saremo liberati della sconfitta, ma perché non dovremo più essere testimoni di divisioni.
Le Scritture ci dicono di immaginare che ciascuno possa sedere sotto la propria vite e il proprio albero di fico e lì, non essere spaventato.
Se vorremo essere all’altezza del nostro tempo, non dovremo cercare la vittoria nella lama di un’arma, ma nei ponti che avremo costruito.
Questa è la promessa con la quale arrivare in una radura, questa è la collina da scalare, se avremo il coraggio di farlo.
Essere americani è più di un orgoglio che ereditiamo.
È il passato in cui entriamo ed è il modo in cui lo ripariamo.
Abbiamo visto una forza che avrebbe scosso il nostro Paese anziché tenerlo insieme.
Lo avrebbe distrutto, se avesse rinviato la democrazia.
Questo sforzo è quasi riuscito.
Ma se può essere periodicamente rinviata,
la democrazia non può mai essere permanentemente distrutta.
In questa verità, in questa fede, noi crediamo,
Finché avremo gli occhi sul futuro, la storia avrà gli occhi su di noi.
Questa è l’era della redenzione.
Ne abbiamo avuto paura, ne abbiamo temuto l’inizio.
Non eravamo pronti ad essere gli eredi di un lascito tanto orribile,
ma, all’interno di questo orrore, abbiamo trovato la forza di scrivere un nuovo capitolo, di offrire speranza e risate a noi stessi.
Una volta ci siamo chiesti: “Come possiamo avere la meglio sulla catastrofe?”. Oggi ci chiediamo: “Come può la catastrofe avere la meglio su di noi?”.
Non marceremo indietro per ritrovare quel che è stato, ma marceremo verso quello che dovrebbe essere:
Un Paese che sia ferito, ma intero, caritatevole, ma coraggioso, fiero e libero.
Non saremo capovolti o interrotti da alcuna intimidazione, perché noi sappiamo che la nostra immobilità, la nostra inerzia andrebbero in lascito alla prossima generazione.
I nostri errori diventerebbero i loro errori.
E una cosa è certa:
Se useremo la misericordia insieme al potere, e il potere insieme al diritto, allora l’amore sarà il nostro solo lascito e il cambiamento, un diritto di nascita per i nostri figli.Perciò, fateci vivere in un Paese che sia migliore di quello che abbiamo lasciato.
Con ogni respiro di cui il mio petto martellato in bronzo sia capace, trasformeremo questo mondo ferito in un luogo meraviglioso.
Risorgeremo dalle colline dorate dell’Ovest.
Risorgeremo dal Nord-Est spazzato dal vento, in cui i nostri antenati, per primi, fecero la rivoluzione.
Risorgeremo dalle città circondate dai laghi, negli stati del Midwest.
Risorgeremo dal Sud baciato dal sole.
Ricostruiremo, ci riconcilieremo e ci riprenderemo.
In ogni nicchia nota della nostra nazione, in ogni angolo chiamato Paese,
La nostra gente, diversa e bella, si farà avanti, malconcia eppure stupenda.
Quando il giorno arriverà, faremo un passo fuori dall’ombra, in fiamme e senza paura.
Una nuova alba sboccerà, mentre noi la renderemo libera.
Perché ci sarà sempre luce,
finché saremo coraggiosi abbastanza da vederla.
Finché saremo coraggiosi abbastanza da essere noi stessi luce “. (Amanda Gorman, 20 gennaio 2021)
di Enzo Sferrazza
Settore Adulti Ac S.G.M.Tomasi, Licata