Dalla basilica di San Pietro al carcere di Rebibbia l’invito a ritrovare la speranza
La festa del Natale da sempre porta in sé la gioia della novità, della riscoperta di quel bisogno di amare e di essere amati che ognuno di noi custodisce nel proprio cuore.
Il Natale di Gesù è qualcosa di più di tutto questo. È l’invito ad aprirsi per accogliere quella Parola nella quale possiamo ritrovare il senso della nostra vita, quell’Altro, quel Dio che ci porta a vedere il mondo da un’altra prospettiva: dalla mangiatoia di Betlemme.
Il Natale di Gesù è la festa della vita, ma ancor di più della speranza, quella speranza che il mondo sembra aver perduto, sepolta tra le macerie delle tante guerre del mondo. Ma la speranza non è morta.
È questo il messaggio, anzi, il grido gioioso con il quale Papa Francesco, attraverso il gesto secolare dell’apertura della Porta Santa nella Basilica di San Pietro e ancora di più, con la scelta di aprire la seconda porta giubilare all’interno del complesso carcerario di Rebibbia a Roma, invita la Chiesa universale e tutto il mondo a ritrovare il coraggio di andare oltre la rassegnazione che sperimentiamo di fronte alle tante ingiustizie o ai nostri tanti fallimenti; oltre quell’assuefazione che svilisce il nostro impegno e che anestetizza il nostro cuore di fronte all’altro: all’indifeso, all’emarginato, all’immigrato, al detenuto, fino a svuotare il nostro cuore dalla nostra stessa umanità e da Dio stesso.
È un invito che ci porta ad uscire dalle nostre logiche e dai nostri schemi precostituiti, da quella felicità artificiale ed egocentrica di quell’umanesimo imperante, sempre più disumanizzato, dove i sogni hanno perso la loro carica sovversiva e quella capacità di parlare al cuore delle persone, di infiammare le coscienze per accendere il desiderio di impegnarsi e spendersi per quel prezioso bene comune che appartiene a tutti.
È un invito che si traduce in un impegno sociale ed educativo a partire proprio dalle carceri, segno di un’umanità che ha sbagliato ma che porta in sé ferite che chiedono di essere curate; uomini e donne che hanno bisogno di recuperare la loro dignità, in cerca di speranza ma che finiscono per essere rilegati in delle discariche umane abbandonate dalla società, ma dove a morire è la nostra stessa umanità.
È un invito che ci richiama a risvegliare la nostra fede assopita, ripiegata molte volte su un tradizionalismo e su una ecclesialità incapace
di generare speranza, quella speranza di cui abbiamo bisogno non solo per vivere ma soprattutto per non dimenticare che lungo il nostro cammino esistenziale noi non siamo mai soli, che nel nostro presente, per quanto travagliato, incerto e doloroso si presenti, Lui è sempre con noi.
Lui è dalla nostra parte. Lui, Cristo è sempre pronto a tenderci la sua mano per aiutarci ad uscire dalla nostra disperazione, da tutte le nostre paludi esistenziali da quel vuoto senza fine nel quale perdiamo noi stessi e i nostri sogni.
di Enzo Sferrazza